Fare psicoterapia durante il Coronavirus

Continuare a fare psicoterapia durante la quarantena è molto difficile. Tutto è avvenuto in termini talmente rapidi che ci siamo dovuti adattare improvvisamente alle drastiche trasformazioni che la nostra vita quotidiana ha subito. Abbiamo scoperto che le nostre abitudini, anche le più banali, ci mancano e ciò che consideriamo normale ed ovvio, è invece uno stato di grazia di cui dovremmo essere grati alla vita ogni giorno.

Mi sono ritrovata, insieme ai colleghi, a lavorare davanti ad uno schermo e pertanto a vivere una realtà nuova, senza avere la possibilità di andare nel mio studio di Mondello.
La psicoterapia stessa è diversa. Il collegamento tramite internet mi ha fatto conoscere parti della vita dei pazienti di cui ne avevo solo sentito parlare, gli ambienti dove vivono, i loro figli. Indipendentemente dai motivi per cui i pazienti hanno intrapreso la psicoterapia, mi parlano principalmente del coronavirus; i pazienti richiedono informazioni sul mio stato di salute e mi parlano dell’impatto del virus sulla loro quotidianità. Senza la certezza che sto bene, il paziente non riesce a parlare di altro. Il coronavirus ha reso il mio lavoro più intimo e rivelatore della reale interdipendenza tra me e i miei pazienti.
Tuttavia, la paura del coronavirus non è un’ansia nevrotica, ma si tratta di una paura fondata sulla realtà. Si tratta di una paura reale e di un dolore che ha stravolto la vita di tutti noi. Cerco, allora, di fornire ai pazienti le informazioni migliori per rassicurarli.
Una fantasia ricorrente dell’essere umano è quella ci sia da qualche parte qualcuno di onnipotente che riesca a sistemare le cose. Una delle prime volte in cui mi sono resa conto del potere di questa fantasia, è stato quando la mia nipotina di 3 anni fece una scenata perché suo padre non faceva smettere di piovere. Alcuni pazienti hanno uno schema emotivo, analogo a questo, fatto di tentativi di provare a qualcuno quanto soffrano, cosicché quella persona possa intervenire e salvarli. In psicoterapia, questi pazienti espongono le loro sofferenze affinché intervenga qualcuno dall’esterno e glieli risolva.
E’ terribile rendersi conto che il mondo non è nelle mani degli altri, inteso come coloro che sistemeranno le cose, ma è gestito da esseri umani che sono imperfetti, e fragili. Il mio compito come terapeuta è empatizzare con la sofferenza emotiva che il paziente vive, entrare quindi in profonda connessione con la sua realtà dolorosa ed essere onesta su quanto le cose siano emotivamente difficili in questo momento.
Nella speranza e nell'attesa di poter ricominciare a esercitare la mia professione di psicologo in quel di Mondello.