Perché iniziare una psicoterapia?
“La fatica più grande: affidarmi ad un'altra persona...”
Attualmente nell'immaginario collettivo è ancora molto diffusa l'idea del ricorso allo psicologo come “ultima spiaggia”. L'inizio di una psicoterapia, a volte, viene vissuto erroneamente come se fosse la certificazione del passaggio da una condizione normale ad una condizione patologica, che pertanto necessita di una “cura”.
Questo atteggiamento tende ad assimilare la professionalità dello psicoterapeuta a quella del medico, circoscrivendo il suo ambito di competenza esclusivamente alla patologia.
Questo modo di pensare ha notevolmente favorito nell’imaginario collettivo la difficoltà ad accettare gli aspetti della propria personalità che giudichiamo diversi solo perché non coincidono con la rappresentazione ideale alla quale cerchiamo di assomigliare; ci percepiamo diversi da come vorremmo essere ed è da questa distanza che deriva una sensazione di inadeguatezza che spesso è alla base del disagio o della sofferenza.
Ad esempio, una persona che sta affrontando una separazione/divorzio, non necessariamente presenta disturbi psicopatologici, ma ciò non esclude che egli possa ugualmente aver bisogno di uno specialista che l'accompagni durante una fase significativa della sua storia personale.
Nel rapporto con il terapeuta, il cliente ha l’opportunità di sperimentare modalità relazionali efficaci, che poi potranno essere utilizzate nell'affrontare le difficoltà che ciascuno di noi vive all'interno delle relazioni significative che accompagnano la propria vita.
Tuttavia, se è vero che si apprende dall'esperienza, perché il processo comunicativo possa dirsi terapeutico bisogna che il terapeuta si ponga per il cliente come opportunità di fare un'esperienza diversa rispetto a quella che vive abitualmente.
Ad esempio, un genitore che si rivolge allo psicologo non lo fa perché ha una psicopatologia, ma solo perché vive la frustrazione di un rapporto disfunzionale con il figlio e, desidera confrontarsi con uno specialista che l'aiuti ad individuare quelle modalità che si sono rivelate inefficaci nella relazione genitore/figlio.
Questi sono solo alcuni esempi della versatilità dell'intervento psicologico, che non ha alcuna relazione con una condizione psicopatologica, e quindi non va automaticamente associato alla presenza di un disturbo che necessita un intervento terapeutico.
Chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta non vuol dire ammettere la sconfitta definitiva, delegando all'altro il compito di risolvere il problema, ma al contrario, avere l'umiltà di mettersi in discussione, assumendosi la responsabilità di orientare consapevolmente il proprio processo di crescita personale. Significa darsi l'opportunità di incontrare i propri limiti, riconoscerli e individuare le risorse necessarie ad affrontare in modo proattivo le situazioni che creano difficoltà e rendono faticosa l'espressione delle potenzialità individuali.
La psicoterapia è un percorso durante il quale, inevitabilmente, emergono le contraddizioni che appartengono ad ognuno di noi, ma che spesso non riusciamo ad decodificare chiaramente nel momento in cui le stiamo vivendo.
Esistono “false credenze” riguardanti la decisione di rivolgersi ad uno psicoterapeuta per migliorare il proprio benessere interiore, una di queste è il timore di diventare dipendente da lui per il resto della nostra vita.
Al contrario, uno degli obiettivi principali della psicoterapia, è favorire il recupero della fiducia nelle risorse personali e nella capacità di utilizzarle per riconquistare la piena autonomia nell'affrontare situazioni stressanti in modo funzionale.
Un altro pregiudizio molto diffuso è quello relativo ai costi elevati della psicoterapia, pregiudizio derivante dall'iniziale diffusione della psicoanalisi che prevedeva almeno tre sedute settimanali e si prolungava a volte anche per più di un decennio. Oramai da molti anni si è verificata un'inversione di tendenza che ha condotto ad un ridimensionamento generale sia della frequenza delle sedute (quasi sempre a cadenza settimanale), sia della durata complessiva della psicoterapia, che non può certo prolungarsi per un decennio.
Un altra convinzione molto diffusa è:”gli amici e i familiari sono gli unici che possono aiutarmi, perché loro mi vogliono bene”.
A tal proposito, non bisogna confondere il sostegno che può essere offerto da un amico che simpatizza identificandosi con noi, dal ruolo svolto da uno psicoterapeuta che entra in empatia con le nostre emozioni. Lo psicoterapeuta è in grado di sentire le emozioni come se fossero le proprie, senza dimenticare che non appartengono a lui, quindi non cede alla tentazione di sostituirsi a noi, offrendo indicazioni e suggerimenti sul modo di risolvere i nostri problemi.
Al contrario, il suo compito è quello di facilitare un processo di autoconsapevolezza che ci consenta di riprenderci il nostro potere personale e di esercitarlo proprio in quelle situazioni in cui, in passato, abbiamo sperimentato un senso di inadeguatezza.
Se la psicoterapia è efficace, promuove la fiducia in sé stessi, quindi rende inutili l'utilizzo di “maschere” per nascondere agli altri i nostri pensieri o sentimenti, l'autenticità diventa quindi una condizione indispensabile ad orientare le scelte e i comportamenti in sintonia con la propria personalità.
Ecco le parole di una cliente che descrive la sua esperienza durante la psicoterapia: “La fatica più grande: affidarmi ad un'altra persona (…) ma la salvezza è stata proprio quella. Abbandonarmi e scoprire il sollievo di non annegare (…) di non precipitare nel vuoto della pazzia, perché uno sguardo altro mi sosteneva (…) dare voce a tutte le parti di me, dare a tutte una dignità e diritto di esistere con la loro verità. Ho scoperto che non volevo perderne neppure una, in tutte mi sono riconosciuta”.
La fatica più grande: affidarmi ad un'altra persona